mercoledì 18 marzo 2009

Il suicidio dello stato

Immaginate uno Stato dove il cittadino, dalla nascita alla morte, è considerato come un bene da tutelare, dove viene garantito il diritto allo studio ed alla sanità pubblica, dove sono garantiti per tutti la casa, il lavoro e dopo di esso una giusta pensione, dove per il solo fatto di essere cittadini si riceve un salario sociale e dove si è veramente tutti uguali davanti alla legge che è equa: in questo Stato il suicidio è un delitto.
E’ immorale che una persona, dopo aver tanto ricevuto dalla sua comunità, possa decidere di uccidersi sottraendosi al dovere civico di partecipare al bene comune.
Questo Stato, purtroppo, non esiste, anzi il mondo cosiddetto occidentale è molto lontano da questo modello.
Il cittadino non esiste, sostituito da un suddito consumatore.
Negli Usa, che sono il vertice della piramide “occidentale”, ma l’Italia ne sta seguendo l’esempio, lo Stato garantisce quasi nulla, lasciando i suoi sudditi in balia di loro stessi anche davanti a bisogni primari come la casa, la salute, la pensione di vecchiaia.
In questo Stato è impossibile considerare immorale il suicidio perché non esiste alcun patto di solidarietà tra Stato e cittadini.
Chiunque potrebbe legittimamente decidere di mettere fine alla sua esistenza, sarebbe solo un consumatore in meno.
In Italia si sta facendo un gran parlare intorno al testamento biologico ed alla possibilità di interrompere l’accanimento terapeutico su pazienti che scelgono una morte dignitosa.
Siamo ovviamente ancora ben lontani dall’eutanasia, ma tanto è bastato per scatenare i soliti bigotti che in nome di un astratto concetto della vita vogliono impedire in ogni caso qualsiasi interruzione dei trattamenti medici, anche quando questi non hanno più speranza alcuna di restituire il malato ad una vita che non sia vegetativa.
Sono già 53 i parlamentari firmatari di un documento che chiede una correzione di rotta, in senso pro-life, al disegno di legge Calabrò.
Tra questi il sottosegretario all'Interno Alfredo Mantovano che non è convinto di alcuni passaggi.
Il 20 dicembre del 2006 il Consiglio superiore di Sanità, ha spiegato l’esponente di An, ha chiarito che “il medico deve astenersi da trattamenti sanitari straordinari, non proporzionati e non efficaci quando il paziente si trova in condizioni di morte prevista come imminente”».
Una definizione che non è esattamente sovrapponibile al testo Calabrò: “Soprattutto in condizioni di morte prevista come imminente”.
Quel “soprattutto” disturba Mantovano.
Non basta che la morte sia ormai certa, deve essere anche imminente, un termine peraltro vago che lascerebbe spazi a interpretazioni diverse.
Invece di perdersi in inutili discussioni, troppo spesso ispirate da oltre il Tevere, farebbero bene a chiedersi: questo Stato che diritto ha di scegliere per i suoi cittadini visto che ormai è uno Stato patrigno?
L’esasperazione dell’individualismo ha già da tempo di fatto esautorato lo Stato e chi ha distrutto il concetto stesso di patria, di comunità, di identità non può più fare lezioni di morale a nessuno.
Vogliono vietarci persino le opinioni diverse dalle loro, ma non potranno mai vietare... il suicidio.

(Paolo Emiliani dalla prima pagina di RINASCITA del 28 febbraio 1 marzo 2009)

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