venerdì 12 giugno 2009

Volo Air France 447: una strage per eliminare altri due attivisti?


In questi giorni, uno degli argomenti a tenere banco è senz’altro il disastro del Volo Air France AF447, un Airbus 330 precipitato con 228 persone a bordo, quattro ore dopo il decollo da Rio de Janeiro, in Brasile, in rotta verso Parigi. La mancanza di comunicazioni di emergenza con l’equipaggio, l’incertezza sul luogo esatto del disastro (il più grave nella storia della compagnia di bandiera), i presunti 24 messaggi automatici di segnalazione anomalie lanciati dal velivolo, fra cui il disinserimento del pilota automatico nei minuti finali che non si sa se attribuire a una decisione dei piloti o a informazioni contraddittorie sulla velocità registrate dal sistema di bordo, hanno infittito il mistero sui motivi dell’incidente.

Apparentemente il volo non avrebbe incontrato condizioni meteorologiche particolarmente proibitive. Il punto è che i media francesi, fra cui Le Monde, hanno citato fonti investigative secondo le quali l’aereo stava volando troppo lento prima del disastro, dando implicitamente ad intendere che potrebbe essersi danneggiato irreparabilmente attraversando un fronte temporalesco. Questo, però, non spiega l’estensione del tratto di oceano lungo il quale si stanno recuperando corpi e rottami, ampio ben 55 miglia. Non ci vuole un genio dell’ingegneria aeronautica per giungere alla conclusione che il velivolo si è in qualche modo disintegrato in volo. Interessante la segnalazione di un pilota della Air Comet in volo da Lima a Madrid, che, non lontano dalla zona del disastro, avrebbe osservato “un intenso bagliore di luce bianca” che è sembrato scendere verticalmente e separarsi in sei segmenti.


Nessuna fonte ufficiale al momento ha tirato in ballo atti terroristici: al contrario, si è fatto di tutto per escluderla. Ora la priorità sembrerebbe quella di recuperare le scatole nere, ma da più parti si mettono le mani avanti con affermazioni del tipo “non siamo sicuri di riuscire a recuperare le scatole nere”, “probabilmente non sapremo mai cos’è successo realmente” etc. Tuttavia molti esperti non escludono affatto l’ipotesi di una bomba a bordo, anzi. Persino un pilota della stessa compagnia ha espresso questa idea che, a suo dire, è l’unica spiegazione per la mancanza di comunicazioni di emergenza con i piloti e la dispersione dei rottami su un’area così vasta. Se così fosse, allora quella dei segnali automatici trasmessi per alcuni minuti sarebbe una storia di copertura, in quanto del tutto incompatibile con lo scenario dell’esplosione o disintegrazione improvvisa.

Qualcuno ipotizza la presenza fra i passeggeri a bordo di qualche personaggio particolarmente importante e/o scomodo da eliminare, considerando l’elevato livello di insabbiamento presumibilmente in atto da parte del governo francese e di quello brasiliano. Curiosamente, su quell’aereo viaggiavano l’argentino Pablo Dreyfus e lo svizzero Ronald Dreyer, due attivisti di fama mondiale, impegnati da anni a investigare e denunciare i traffici internazionali di armi e stupefacenti e le relative connessioni, con eccellenti risultati. Si stavano recando a Ginevra per presentare l’ultima edizione del rapporto Small Arms Survey, del quale Dreyfus era co-editore. Nel sito web dell’organizzazione indipendente Small Arms Survey, la quale fa parte del Graduate Institute of International Studies, si afferma che il lavoro di Dryer come diplomaticonell'ambito di missioni dell’O.N.U. in El Salvador, Mozambico, Azerbaijan, Kosovo e Angola, ha contribuito a mobilitare il sostegno di oltre 100 paesi alla causa del disarmo e dell’eliminazione dei traffici di armi leggere.

A questo punto, speriamo solo che a nessuno venga in mente di tirare in ballo gli U.F.O., che, dal canto loro, ultimamente stanno creando non pochi grattacapi, particolarmente al governo britannico.

Scritto da: Tom Bosco
Fonte: Nexusedizioni.it

Pubblichiamo la lista dei passeggeri da cui risulta che a bordo dell'aereo dell'Airfrance si trovavano i due attivisti citati nell'articolo, ossia Pablo Dreyfus e Ronald Dreyer. Ringraziamo F.T. per la ricerca.

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